Il Paese

Cenni Storici

La storia delle Ville di Montecoronaro è strettamente legata all’antica Abbazia di Santa Maria in Trivio. Dell’antica struttura oggi rimangono, purtroppo, soltanto resti di mura confusi nella boscaglia che ormai avvolge completamente il luogo dove sorgeva l’abbazia. Tuttavia, oggi possiamo dire che l’abbazia “rivive”, almeno nel ricordo della gente, grazie alla Chiesa parrocchiale delle Ville di Montecoronaro il cui altare è stato ricostruito con pietre prelevate dalla sede dell’antico complesso monastico.
L’Abbazia di santa Maria in Trivio fu fondata nell’XI secolo da una famiglia feudale, probabilmente i conti di Montedoglio e di Chiusi. Il nome deriva dal fatto di trovarsi in prossimità di un incrocio a tre vie della mulattiera che da Pieve Santo Stefano risaliva il corso del Tevere per raggiungere, varcando l’ appennino, Bagno di Romagna e Cesena. Questa antica via, utilizzata fino all’inizio del 1900, si ripartiva a Montecoronaro in tre direzioni. La via centrale proseguiva per l’alta valle del Savio e raggiungeva dopo pochi chilometri Verghereto e da qui Bagno di Romagna. La mulattiera di destra conduceva invece alla vena del Tevere e quindi alle Balze. Il viandante che avesse imboccato la mulattiera di sinistra sarebbe invece salito fino al Poggio Dei Tre Vescovi e quindi , passando per Pratelle e Poggio Calvano , avrebbe raggiunto la Verna.
Il monastero del Trivio passò all’inizio del XII secolo nell’orbita camaldolese come volevano i postulati della riforma che annullavano o riducevano i diritti che l’aristocrazia laica vantava sulle vecchie abbazie. Dopo la donazione l’abbazia rimase ai camaldolesi fino al XV secolo quando fu data in commenda.
Ogni abbazia era una “famiglia” completa ed autonoma i cui membri vivevano sotto la potestà dell’Abate. Quest’ultimo era capo delle diverse amministrazioni del monastero: spirituale , politica, giudiziaria ed economica. Per le questioni di particolare gravità ed importanza egli doveva radunare un consiglio di tutti i monaci anche se poi era l’Abate che decideva nel modo ritenuto più opportuno. In una situazione di questo genere è facile capire come potessero facilmente crearsi , anche il quel periodo, degli “abusi d’ufficio” che portarono ad un progressivo distacco dell’Abbazia dai camaldolesi.
L’abbazia ebbe in seguito una netta decadenza e subì una grave e definitiva distruzione del 1495 ad opera dell’esercito veneto guidato dal duca di Urbino.
 
Come già detto, oggi lo spazio su cui sorgeva l’abbazia è ridotto ad un ammasso di piante, erba e spine dove ogni tanto spunta fuori, qua e là , una pietra squadrata. Ad inizio ‘800 presso la chiesa ormai demolita c’era una piccola casa composta di due stanze, fondi e forno dove viveva il fattore del Monastero di San Niccolò, che vi raccoglieva i prodotti della proprietà di Montecoronaro. L’area in cui sorgeva l’abbazia riuniva in se tutti i requisiti allora necessari: ripiano spazioso ben illuminato per molte ore al giorno e ben riparato dai venti settentrionali, un corso d’acqua a breve distanza (il Rio) e non ultima, la solitudine del luogo.
 
L’abbazia doveva essere protetta e delimitata da un muro di cinta e , su due lati, da fossati. Accanto al monastero, con portico e chiostro, vi era la chiesa. I documenti giunti sino a noi ci parlano, per quanto riguarda i locali , di una cucina e di uno “scaldatorium” utilizzato dai monaci nei mesi più freddi. Su un cucuzzolo sopra l’abbazia , a picco sul monastero, sorgeva con ogni probabilità una torre o altro edificio fortificato di cui si parla in un documento del 1341.